Under 14 – La lista dei sogni di Ahmed

La lista dei sogni di Ahmed

di Lorca Prado-Moliner

Tutor: Giorgio Andreozzi – Scuola: I.C. Via Fabiola di Roma

 

– Buongiorno, Paula, ti ho fatto chiamare per dirti che c’è un nuovo alunno a scuola. Proviene dal Marocco, ha 16 anni, si chiama Ahmed e non sa parlare lo spagnolo, ma riesce a capire la nostra lingua. Sarà in 2º liceo e dovrà fare la lezione di lingua con te nella classe per stranieri- disse il prof.Ocaña, preside dell’Istituto “Peñagolosa”.

-Va bene. I suoi genitori?

-No, la sua famiglia non è qui, ma i servizi sociali non ci hanno detto molto. Prova a saperne di più dal ragazzo.

-D’accordo, grazie.

La professoressa Moliner uscì dall’ufficio del preside e si diresse verso l’aula 9G.

– Buongiorno, ragazzi! Mi hanno detto che è arrivato un nuovo ragazzo in classe nostra e che si chiama Ahmed, giusto?

Subito un ragazzino con la pelle un po’ scura, con capelli e occhi neri, alzò una mano. L’insegnante lo fissò sorridendo e disse lentamente:

– Ciao, io sono Paula e sarò la tua insegnante di Spagnolo fino alla fine dell’anno.

Il ragazzo annuì.

– Vieni alla lavagna a scrivere il tuo nome, per favore.

Ahmed si alzò della sedia e si mise accanto alla cattedra. Ci fu qualche momento di silenzio finché lui non prese il gessetto, ma poi mimò il gesto della scrittura e disse di “no” col dito. Paula capì che non sapeva scrivere neppure il suo nome. Allora gli diede la sua penna. – Te la regalo, io ne ho tantissime. Questa ti servirà.

Ahmed la guardò, mise la penna nella tasca dei suoi pantaloni neri e disse qualcosa che somigliava a un “Grazie”.

– Prego- disse Paula con dolcezza.

Nei giorni successivi le lezioni furono soprattutto orali. Ahmed fu aiutato anche dai ragazzi stranieri più esperti: giocavano con lui e cercavano di coinvolgerlo il più possibile, e così un po’ alla volta cominciò a comprendere meglio lo spagnolo e anche a parlarlo. Un giorno poi, incoraggiato da Paula, andò alla lavagna scrisse “A h m e d” e, leggendolo, si mise a ridere.

– Ce l’hai fatta, bravo!- disse l’insegnante, guardandolo con i suoi occhi chiari. –Il più è fatto.-

In cinque mesi imparò a parlare, a leggere e anche a scrivere. Divenne bravissimo.

Una mattina, verso la fine anno scolastico, Ahmed fermò la professoressa davanti al portone dell’istituto. -Vorrei ringraziarla- disse- per tutto quello che ha fatto per me, grazie mille per il suo aiuto.

– Prego, ma il merito è tutto tuo- rispose Paula sorridendo- Ahmed, te la senti di raccontarmi la tua storia?-

Ahmed guardò in basso, poi fissò l’insegnante e poi un’altra volta in basso.

– Vivevo a Nador, una città vicina a Melilla. La mia famiglia era molto povera, eravamo in 9 fratelli e sorelle e abitavamo con i nostri genitori in un vecchio casale abbandonato. Aveva due piani, nel primo c’erano il salotto-cucina e una stanza piccola nella quale dormivamo io, Abdo, Isaam e Jala; al secondo piano, oltre al bagno, c’erano due stanze più grandi dove dormivano i miei genitori, con la nostra sorella più piccola, e gli altri miei fratelli: Nassif, Maamar, Assil e Jamil.

Mio padre era elettricista, ma guadagnava poco o niente. Mia madre lavorava da domestica nella casa di una signora ricca e la vedevamo solo la domenica, gli altri giorni stava sempre lì. A 10 anni lasciai la scuola per mettermi a rubare con i fratelli con i quali ero in stanza: Isaam, Abdo e mia sorella Jala, tutti e tre più grandi di me. Eravamo sempre uniti, erano i fratelli a cui più volevo bene, anche perché con gli altri non avevo un gran rapporto: i più grandi “lavoravano” fuori casa e i più piccoli erano troppo… piccoli! Io non ero felice di fare una vita da ladro e neanche i miei fratelli. Perciò un giorno Isaam ci chiese: “Ma voi non avete dei sogni che volete far diventare realtà?” Subito Jala, scrollando le spalle, disse: ”Sì, ma a cosa serve pensarci? È inutile.” Ci fu un lunghissimo attimo di silenzio. “Beh, io dei sogni da realizzare ce li ho e ce ne avete anche voi.” affermò sicuro Abdo. Ci guardammo tutti negli occhi. “Allora, perché non li scriviamo in una lista?” domandò Isaam. “Sì, dai, facciamo la lista!” esclamai con entusiasmo. “Allora, scrivo io, visto che sono l’unica che sa scrivere” disse Jala prendendo l’unico foglietto intonso che trovò in camera.

Ok, io non voglio più essere povero” disse Abdo. “Anch’io” aggiunse Isaam. “Io vorrei tornare a scuola!” gridammo io e Jala insieme. “Io voglio un lavoro onesto” disse Isaam. “E dei libri nuovi” mormorò Jala. “Vorrei tanto una bicicletta…” dissi. Gli altri mi guardarono. “Una bici?” chiese Abdo “A cosa ti serve una bicicletta?” “Per poter viaggiare” risposi. “Ma, dove vuoi andare con una bicicletta? Nel deserto?” aggiunse Abdo. “In Spagna, lì si vive meglio” dissi. “Ma per andare in Spagna ci vuole una barca: c’è il mare in mezzo, ignorante!” gridò Jala. Strillai un insulto arrabbiato. “Basta!” urlò Isaam ancora più forte.”Non serve litigare tra di noi, riprendiamo la lista”.

Alla fine la lista era pronta:

1 Uscire dalla povertà

2 Comprare una bicicletta

3 Tornare a scuola

4 Avere un buon lavoro

5 Comprare libri

6 Andare in Spagna

7 Formare una famiglia

8 Conoscere il mondo

9 Restare uniti

10 Essere felici

La guardammo soddisfatti e la lasciamo lì, sul tavolino della camera. La vita riprese e proseguì come sempre.

Un giorno però mi decisi: “Se me ne vado via, i miei genitori avranno una bocca in meno da sfamare e non dovranno mantenermi. Forse troverò un lavoro e manderò i soldi a casa. Sarà meglio per tutti.” Ne parlai prima di tutto con i miei fratelli. Quando ascoltarono la notizia, si intristirono e Jala si mise a piangere: “Ma la lista? Cosa facciamo con la lista? Se te ne vai, non potremo realizzarla insieme…” Però sapevano che lo avrei fatto per il bene di tutti e allora non aggiunsero altro.

Dopo di che ne parlai con mio padre e poi la domenica lo spiegammo a mamma.

– E di tutto questo i tuoi genitori che dissero?- chiese Paula.

– “Meglio per te –mi dissero- così avrai una vita migliore e sarai più felice. Ti vogliamo bene, Ahmed”. Anche loro si misero a piangere come Jala. La decisione era presa.

L’indomani andai al porto di Nador. Lì cercai una macchina che si imbarcasse su un traghetto diretto in Spagna. Nella fila delle auto ce n’era una, bella grande, il cui il proprietario si era allontanato a parlare con un altro tizio a una certa distanza. Mi accostai alla macchia e in un secondo aprii il portabagagli forzando la serratura: mi ci infilai senza fare troppo rumore. Da là dentro sentivo i rumori del porto, la gente che parlava nelle vicinanze… avevo il cuore in gola. Alla fine la macchina si mosse e capii che stavamo sul traghetto. L’uomo spense il motore e si allontanò. La nave cominciò a muoversi, ma io rimasi immobile, ancora terrorizzato. Poi mi addormentai, sfinito. Non so quanto tempo passò, visto che non avevo l’orologio, ma ci saranno volute più di tre ore prima di rivedere la luce. Quando uscii dal portabagagli, sperando che la macchina non fosse più nel traghetto e che il proprietario non stesse nei paraggi, ignoravo dove mi trovassi. Era una città. Mi sembrò incredibile, con tutti quei palazzi alti, con grandi strade piene di negozi… però c’era una gran confusione che mi metteva ansia. Camminai a lungo, fino a trovarmi in un quartiere dall’aspetto più povero. Assomigliava a Nador e lì cominciai a sentirmi più a mio agio. Allora cercai qualcuno che mi aiutasse a trovare alloggio senza chiedermi soldi in cambio. Non avevo nulla da dare. Per fortuna trovai una famiglia araba che mi accolse. Parlavano la mia stessa lingua e quindi ci capivamo. Mi fermai lì con loro. Tutti i giorni mi davano da mangiare e bere, poco, ma era sufficiente. Purtroppo però dovetti ricominciare a rubare anche lì per pagare loro il cibo che mi davano. E fu così che un giorno, mentre cercavo di rubare un braccialetto d’oro, un signore mi afferrò il braccio e chiamò subito la polizia. Rimasi chiuso nel commissariato per 24 ore.

Il processo si fece il giorno dopo. Ebbi la fortuna di trovare un giudice buono: non mi condannò alla carcere minorile, ma mi disse: “La mia condanna per te sarà che tu vada a scuola. Se frequenti regolarmente, studi, fai i compiti e ti impegni, non dovrai andare in prigione. Ti daremo anche un alloggio nell’orfanotrofio della città, non ti mancherà niente.”

ed eccomi qua.-

Ci furono tre secondi di silenzio, poi Paula abbracciò Ahmed e disse:

-Sono rimasta impressionata, davvero senza parole. Un’ultima cosa… ma la lista, ora, quanti articoli ha?

– La mia lista solo due:

1 Aiutare a Isaam, Abdo e Jala e tutta la mia famiglia a uscire della povertà

2 Comprare una bicicletta.-

 

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