Racconti in città/Camminare urbano

Camminare urbano: tra colossi
di cemento pensieri metropolitani

Cammino. Cammino tanto. Percorro mediamente dieci chilometri al dì. Ho un’app dedicata che mi dice esattamente quanta strada ho fatto. È un’abitudine che ho preso da un po’ di tempo. Dicono che faccia bene il movimento. Me l’ha vivamente consigliato il mio medico curante. Gli ultimi controlli non sono stati ottimi. Movimento è la nuova parola d’ordine. Ed io, che alla mia vita ci tengo, seguo attentamente i consigli di chi ne sa più di me per allungare la permanenza su queste strade. Ho smesso anche di fumare. Adesso respiro meglio. Sento la differenza quando faccio le scale e non ho più bisogno di fermarmi ad ogni piano per riprendere fiato. Adesso riesco a salire i quattro piani senza soste intermedie. Mi sento bene. Sentirsi bene è una sensazione piacevole che mette di buonumore. Camminare. Camminare permette dei punti di vista diversi, molto più ampi rispetto alla corsa. Se corri devi necessariamente guardare avanti, stare concentrato, lo sforzo fisico richiede una grande concentrazione. Se passeggi generalmente sei distratto dal passo lento, magari incontri il vicino e ti fermi a chiacchierare oppure ti perdi a vedere le vetrine dei negozi. Se vai in bici vedi un po’ meglio rispetto a quando vai in motorino dal quale vedi un po’ meglio rispetto a quando viaggi in auto, ma non vedi abbastanza. Ti perdi nel generico. Il dettaglio è l’elemento proprio della camminata. Camminare ti permette di avere un passo calcolato in base alle tue energie. Nel tenere il passo costante, le gambe diventano come un mezzo di trasporto, si distaccano dal resto del corpo. Con la testa posso permettermi di girarmi a trecentosessanta gradi ed osservare intorno a me, cogliendo ogni piccolo dettaglio di questo mondo. Divento manovratore di me stesso e guida turistica di quartiere. Chissà, forse qualcuno, osservandomi nella meticolosità e nella ripetitività dei miei gesti e dei miei orari, avrà pensato che io sia un po’ tocco. O forse nessuno mi ha notato nella moltitudine che ogni giorno si muove tra queste vie cittadine per i motivi più disparati. Siamo in tanti, è difficile essere notati, non siamo mica in un paesello di montagna dove vivono quattro anime di cui si conosce vita morte e miracoli. No, qui siamo in città, e tutti ignorano tutti. Libertà. La libertà è uno dei grossi vantaggi di vivere in una grossa città. Ma a volte questa libertà provoca uno stato di solitudine, quando non si conosce neanche il vicino di portone, restio ad incontrarti. Lo senti che ti osserva da dietro lo spioncino del portone. Senti il suo respiro lì dietro, ti verrebbe da fargli bum per farlo saltare di spavento, ma io non mi immischio nelle coscienze altrui, faccio la mia vita, guardo avanti. Chi c’è, c’è. Per tutti gli altri ci si vede un’altra volta. Mi fa ridere pensare a tutte quelle persone che ti conoscono ma pur di non salutarti sono disposti a cambiare strada, a rallentare i passi, a far finta di parlare al telefonino, osservatori del vuoto pur di non farti un sorriso e dirti: ciao, buongiorno, o semplicemente vaffanculo. Cosa costa? Io adoro salutare questa gente qui. Anzi adoro fermare questa gente qui. Porle delle domande. Qualsiasi cosa mi passi per la mente in quel momento, pur di parlarci e disturbare il loro ricercatissimo anonimato. Vedere i loro finti sorrisi di cortesia nel cercare una risposta rapida ed una scusa ancora più veloce per sfuggire a qualsiasi tipo di rapporto non ha prezzo. Sarebbe da riprendere con una telecamera nascosta. Candid camera. Ma sai quante risate ci si potrebbe fare ad osservare questi poveretti asociali. Ma io sono fondamentalmente una persona buona che si fa i fatti propri e se un essere adora vivere nell’anonimato e mimetizzarsi con l’ambiente urbano, è una sua scelta, non la condivido, ma la rispetto. Sai quante cose si potrebbero fare. Ci si potrebbe organizzare per rendere la vita più viva, piuttosto che segregarsi in casa ad annientarsi il cervello davanti la tv. Si potrebbe vivere realmente fuori, all’aria aperta, senza sfuggire ai raggi del sole o alle folate di vento e di pioggia. Ed invece il topo di città si nasconde. La tecnologia oramai ci permette di fare tutto da dentro le quattro mura domestiche. Basta avere uno smartphone, un conto corrente ed una carta di credito. Le app sono la nuova frontiera per la risoluzione dei nostri grattacapi e delle nostre necessità. Non serve neanche più pensare a come risolvere un problema. Ci pensano loro, nostri amici fidati. Anche io mi ero fatto prendere da questo nuovo meraviglioso mondo dentro la propria abitazione. Diventi il Sovrano del tuo regno. Con la potenza di un indice sfiorante il display è possibile farsi arrivare l’intero mondo dentro casa. Poi il mio medico curante mi ha consigliato di camminare e sono tornato a mettere la testa fuori dal mio rifugio. E devo dire che ho capito diverse cose, non tantissime, ma alcune lo ho capite nell’istante in cui ho iniziato questo nuovo stile di vita. I rapporti umani sono importanti, l’interazione reale con i nostri simili, senza nasconderci dietro dei nickname, sono fondamentali per capire chi veramente siamo. Ho capito che è da deboli nascondersi dietro identità non proprie, è facile dire la propria opinione senza metterci la faccia. No. Io voglio dirti la mia. Face to face. Ho un nome e ne vado fiero. Ho una mia personalità e ne sono orgoglioso. Sono io, devo essere in sintonia con me stesso. Non devo avere paura di esprimere le mie idee, di dire le mie opinioni. Io ti dico la mia. Non ti sta bene? Allora dimmi la tua. E vediamo se sta bene a me. E se non troviamo un punto d’incontro che si fa? Ci si sfida a duello? Cammino. Cammino tanto e penso ancora di più. Da quando cammino, la mia testa è un brulicare di idee che saltano incessantemente da un lobo all’altro del mio cervello. Sembra di assistere ad una partita di ping pong. E’ un continuo interscambio che permette un miglioramento e uno sviluppo continuo, al punto che potrei scrivere interi saggi sui più disparati argomenti. Ma ho deciso per quieto vivere di lasciare ai quattro venti tutto questo filo interminabile di parole, di immagini, di teorie e di idee. L’anonimo topo di città, chiuso nel suo mondo, non è ancora pronto ad accogliere il mio rivoluzionario pensiero. Protetto dentro le sue quattro mura, nascosto dietro la porta ad osservare dallo spioncino del portone i movimenti del palazzo e poi nascosto dietro le tende ad osservare la vita sulla strada sotto il palazzo, ha perso completamente il contatto con la vita reale. La sua realtà è quella dei reality che segue bramosamente. Il suo contatto con il mondo sono le notizie dei tg. A me non resta che camminare. Camminando osservo il mondo intorno a me. Osservando il mondo che mi circonda penso molto e in modo diversificato. Pensando mi si aprono frontiere cognitive e percettive sempre nuove. Alla fine di tutto questo girare rientro a casa con una fame da lupi. Apro il frigo ma trovo solo dei miseri yogurt con lo 0,1% di grassi. Il mio medico curante è stato categorico. Dopo il movimento nessuna alimentazione grassa. E se voglio percorrere ancora molta strada mi devo attenere scrupolosamente ai diktat di chi ne sa più di me sulla vita, sulla salute e sul movimento.

Daniele Di Giacomo
Bologna

 

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