Racconti in città/Ilsemaforo

Il semaforo

Ogni mattina percorro lo stesso tragitto in auto per andare a lavorare.
Ancora perso nei pensieri indefiniti del dopo risveglio, osservo distrattamente tutto ciò che fa da contorno al mio percorso, come se marciapiedi, alberi, incroci, automobili e persone ne fossero tutti assieme solo una cornice statica e inanimata.
L’unica eccezione a tutto questo si chiama Mario. Il ragazzo magrebino timido e minuto, che così si fa chiamare, vende il giornale al semaforo che attraverso tutti i giorni per imboccare il grande viale trafficato che mi porta al lavoro.
Chiaro che lui vende i suoi giornali a tutti gli automobilisti di passaggio, eppure mi piace pensare lo stesso a un appuntamento, che lui sia lì per vendere il mio giornale e quello solamente e che sia lì ad attendermi ogni giorno, alla stessa ora, vicino al suo semaforo. Così Mario è diventato il mio primo approccio mattutino con gli esseri umani; discreto, cordiale, niente affatto impegnativo. Di lui mi colpisce l’affabilità e la cortesia, quel suo modo allegro di offrire agli automobilisti di passaggio la sua merce, la cura per il suo lavoro che gli dà da vivere. Quel suo modo che ha finito per costringermi a scambiarci due parole di volata come vecchi conoscenti attraverso il finestrino: io chiuso come un riccio nel mio guscio metallico e lui in strada, esposto al freddo di questo lungo inverno.
Stamattina, però, mi sono svegliato di traverso: forse è stato un sogno strano, forse il malumore dell’altra sera venuto fuori in ritardo, oppure non avevo voglia di uscire di casa e di infilarmi con questo freddo dentro l’auto, che fatica a scaldarsi.
Ma alla solita svolta vedo già in lontananza la sagoma mite di Mario: ad ogni verde torna indietro fino alle strisce pedonali, all’altezza del semaforo, per poi attendere con calma che il giallo faccia capolino.
Io inizio a rallentare e poi mi accosto al marciapiede e rallento quanto basta finché lui mi vede e accelera il passo accennando il solito sorriso bonario. Dal finestrino aperto avverto il freddo pungente, mentre lui già ci infila dentro il mio giornale.
È proprio il freddo di stamane l’oggetto delle nostre rapide battute, la pioggia incombente e il cielo minaccioso che nasconde il sole. Poi però, non appena scatta il verde, io lo saluto e riparto in fretta, alzando il finestrino con l’interruttore. Mario invece resterà lì ancora qualche ora, se la pioggia glielo permetterà, infagottato nella sua bizzarra giacca a vento color fucsia a fare avanti e indietro lungo l’incrocio coi giornali sotto il braccio, sperando magari di riuscire a venderli tutti tra un sorriso e l’altro.

Corrado Monti
Sorrento (NA)
 

 

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