Under 14 – Insieme finimmo il viaggio

Insieme finimmo il viaggio

di Diana Rose Ducanes Losito

Tutor: Mirella Luzi – Scuola: I.C. De Curtis di Roma

 

Ormai ci sono abituato, li osservo ogni giorno. Ogni giorno percepisco delle barche di legno levigato che mi accarezzano lo stomaco. Ogni giorno noto quello sguardo in tutte le persone, all’interno di quelle barche, credo sia pieno di quella che la gente chiama “disperazione”.

Ogni giorno odo un rumore seccante e monotono, quello del pianto. Sono soprattutto i bambini a piangere, credo siano solo affamati, credo vogliano solo un po’ di latte o un tozzo di pane. Le madri li guardano, li prendono, li baciano e li abbracciano; cercano di scaldare un minimo quei fragili corpicini e sussurrano loro che andrà tutto bene, che un giorno tutto questo finirà. Io le ascolto, queste madri, non smetto mai di ascoltarle. Mi piace quando narrano le storie, quando fanno di tutto per non manifestare la propria debolezza, o quando cercano di spiegare il motivo per il quale quel giorno se ne sono andati via di casa, quella casa che fino a quel momento avevano abitato, sostituendo in “Uomo cattivo” le parole guerra, persecuzione o fame. Io sono la loro salvezza, il loro pensiero di vita o di morte.

Guardo anche le barche, che eseguono un importante ruolo: quello di assicurare la sopravvivenza. Immagino anche il loro passato, da quali mani sono state costruite, con lo scopo di diventare barche da pesca, di mantenere delle famiglie; poi, da vecchie, abbandonate non troppo lontano dalla riva e recuperate da qualcuno senza scrupoli, diventando il mezzo più importante con una responsabilità enorme, quella di proteggere delle vite, in mare aperto. Quel legno racconta tanto; quelle scritte intagliate su di esso descrivono sogni, speranze, aspettative, preghiere. A volte bagnate da lacrime, a volte bagnate da sangue. Tutte le barche raccontano storie. Le barche piene di gente, raccontano il loro limite di spazio; le barche su cui non ci sono persone, raccontano di una tempesta che le ha cancellate; e quelle che ormai toccano il fondo marino, si portano dietro tesori inestimabili di vite perdute.

Le barche trasportano ricordi: i ricordi negativi descrivono l’inizio del viaggio, e i trafficanti che fanno salire la gente in malo modo, trattandola come numeri e non come esseri umani bisognosi di vivere; quelli positivi conservano conoscenze di persone che non si erano mai viste o parlate, che cominciano a confidarsi e raccontare storie, darsi speranza reciproca, trovare qualcuno nella stessa situazione, volersi bene.

Una volta ho sentito un ragazzo che raccontava all’uomo accovacciato vicino a lui, di essere scappato perché avrebbe dovuto far parte di un esercito, ma non voleva. Non voleva partecipare ad una guerra, non voleva portarsi nella coscienza la morte di altra gente, non voleva assistere all’ uccisione dei suoi compagni. Così è partito.

Ogni giorno vedo queste persone, sulle barche. Alcune piangono, alcune raccontano storie, alcune si lamentano, alcune litigano, alcune pregano. Alcune nascono e alcune muoiono, trascinate via dalle mie onde, e alcune si oppongono con tutte le proprie forze ad esse. Alcune si fermano a metà strada, e altre ce la fanno fino in fondo, centrando il proprio obiettivo di vita: raggiungere un posto dove essere trattati da esseri umani.

Quello è il momento più atteso di tutto il viaggio. Una volta assistetti alla scena commovente di due ragazzi all’interno di una barca di legno malconcia piena di piccoli fori, come si portasse dietro un gruppo di tarli clandestini. Uno dei due aveva una gamba fasciata e livida; raccontava che la colpa era di un uomo che lo aveva punito selvaggiamente per aver rubato, per fame, una cassetta di frutta. Ad un certo punto, forse per i troppi fori, l’imbarcazione iniziò a sprofondare. I due erano presi dal panico e non sapevano come comportarsi. Da lontano si riusciva già ad intravedere il profilo di alcuni edifici, erano quasi arrivati. La barca era quasi del tutto sommersa e, d’improvviso, l’altro giovane afferrò l’amico dalla gamba fasciata, mettendogli un braccio intorno al collo, e cominciò a nuotare verso un’ imbarcazione vicina, con addosso tutto il peso del compagno ferito. Faticosamente riuscirono a salire sulla barca, aiutati da altre persone con lo stesso destino. Riuscirono tutti a raggiungere la terra, accompagnati dolcemente dale mie onde. Insieme finimmo il viaggio.

 

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