Under 14 – Il Suono del Silenzio

Il Suono del Silenzio

di Gabriele Moi

Tutor: Margherita Venetucci – Scuola: I.C. Padre Semeria di Roma

 

(The Sound of Silence – Simon & Garfunkel)
Salve oscurità, mia vecchia amica
ho ripreso a parlarti ancora
perché una visione che fa dolcemente rabbrividire
ha lasciato in me i suoi semi mentre dormivo
e la visione che è stata piantata nel mio cervello

ancora persiste nel suono del silenzio

Aveva camminato a lungo perché alto era il suo intento. Era in viaggio da giorni, attraversando la sabbia del deserto che scotta, l’acqua del mare che uccide, l’inferno dei tanti in quella trappola di gommone.

Doveva portare a termine la sua “missione” per il suo Allah, Allah il più grande, Allah akbar.

Il paesino era piccolo, costruito su una montagna fatta perché la neve potesse cessare lì il suo faticoso cammino. Fatto solo di case isolate, messe in piedi perché nei secoli non potessero parlare tra loro, come i suoi taciturni abitanti già facevano da tempo. La collina ai piedi del monte accoglieva le abbondanti acque invernali e le rare notizie che arrivavano dai lontani paesi di quelle vallate, tenuti a dovuta distanza dall’unica strada impervia che collegava il paesino al resto del mondo, fatta di ciottoli e polvere di terriccio.

Abdul-Fataah vi arrivò in quell’inoltrato inverno con il suo silenzio, mentre la neve non aveva ancora cessato di cadere, accogliendo le sue impronte lungo l’ultimo viale prima di incontrare il primo borgo di quel minuscolo centro.

Nei sogni agitati io camminavo solo
attraverso strade strette e ciottolose
nell’alone della luce dei lampioni
sollevando il bavero contro il freddo e l’umidità

quando i miei occhi furono colpiti dal flash di una luce al neon
che attraversò la notte… e toccò il suono del silenzio

La sorgente del fiume, su un fianco di quella remota località, si riversava sul torrente presente più a valle, che con i suoi percorsi secolari e faticosi sembravano alimentare l’orologio del tempo di quei luoghi abitati e di quelle fitte foreste coperte perennemente dalla nebbia.

Abdul-Fataah al suo arrivo fu accolto con rara ospitalità. Gli ignari abitanti non sapevano nulla su quest’uomo ma un piatto di minestra da dividere con un viandante e un bicchiere di vino rosso è da queste parti cosa sacra prima che saggia, il buon Dio avrebbe certamente gradito e sorriso.

Non si chiede perché si sia arrivati sin laggiù o perché si sia scelto di visitare un posto come quello dimenticato da Dio e dagli uomini. Si sa, la curiosità è spesso scortesia e la scortesia non appartiene a quei luoghi. E’ così che andavano da sempre insegnando i loro padri, e, ancora, i padri dei loro padri.

Prima di prendere sonno Abdul-Fataah ripassò velocemente il suo piano: al mattino presto, alle 6:20, preso il pesante zaino con il suo carico di dinamite e portatosi vicino alla sacrestia di don Luigi, avrebbe lasciato l’esplosivo sul portone della Chiesa dei primi del duecento per poi farlo esplodere una volta allontanatosi con passo sostenuto, mentre tutti avrebbero udito il boato da sotto le coperte, in quel freddo inverno.

Don Luigi non sarebbe sopravvissuto al suo invocare pace e ascolto, ascolto e pace, dall’altare di quella sua Chiesa spesso semideserta e Abdul-Fataah, poi, sarebbe sparito nel nulla.

E nella luce pura vidi migliaia di persone, o forse più
persone che parlavano senza emettere suoni
persone che ascoltavano senza udire
persone che scrivevano canzoni che le voci non avrebbero mai cantato
e nessuno osava, disturbare il suono del silenzio

Tutto sembrava procedere perché tutto potesse compiersi, mentre il fiume imperterrito continuava con generosità a mandare le sue abbondanti acque a valle, mentre i lupi smisero di ululare verso quella luna diversa dalle altre notti.

Alle ore 3:17 di quel buio, in quella notte più scura delle altre, uno squarcio, un vibrare dalle viscere della terra, sommerse quanto costruito faticosamente nei secoli dagli abitanti di quella valle. Tutto fu messo sotto sopra.

Il terremoto, che non distingue colore di pelle o di religione, venne perché tutto cessasse di esserci, di essere vivo. Tutto avvolse perché tutto potesse essere capovolto e immerso.

“Stupidi” io dissi, “voi non sapete
che il silenzio cresce come un cancro
ascoltate le mie parole che io posso insegnarvi,
aggrappatevi alle mie braccia che io posso raggiungervi”
Ma le mie parole caddero come gocce di pioggia,
e riecheggiarono, nei pozzi del silenzio

Abdul-Fataah si ritrovò sepolto, senza scampo. Sotto uno strato di calce e pietre il suo orologio batteva con il poco ossigeno ancora presente in quella bolla d’aria.

Lui doveva far saltare in aria Don Luigi e la sua Chiesa, colpevoli, a suo dire, in quanto nemici del suo unico vero Dio. Ma le mura erano crollate su Abdul-Fataah come burro che si scioglie al sole, come pugno di rabbia che ti colpisce e abbatte.

Per Abdul-Fataah, sotto quelle macerie, tutto terminava, tutto si trovava in prossimità del cessare: la sua infanzia, il suo ghigno, il suo Dio, le sue strade, i ricordi della sua famiglia, i litigi con i compagni di scuola, i primi furtivi baci, le prime discussioni con mamma e papà.

Ma mentre tutto se stesso si congedava da questa vita in segno di resa, gli parve di sentire dei suoni…suoni di massi che si muovevano, che cercavano di far spazio, di far entrare luce tra lui ed il mondo dei vivi.

e la gente si inchinava e pregava
al Dio … “le parole dei profeti
sono scritte sui muri …e sui muri delle case popolari.”
E sussurrò nel suono del silenzio…

Così accadde che un braccio si distese e una mano sudata e tesa giunse ad Abdul-Fataah, lo sfiorò in viso e a questi arrivò una voce soffocata: “Amico, non aver paura, ci sono io a salvarti e non sarai più solo.”.

La mano di don Luigi, sporca di polvere e mal ferma, sollevava Abdul-Fataah e le sue lacrime, per poi con forte impeto abbracciarlo, sussurrandogli: ”Non piangere fratello, abbiamo molto da condividere in un mondo più grande. Ho bisogno di te per seppellire i morti di questa valle ma non ho bisogno di sapere altro. Qualunque cosa ti abbia portato in queste montagne ricorda che sei il benvenuto tra noi e in comune potremo avere questi fiumi e il suono del nostro silenzio”.

 

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