Under 14 – I colori dell’anima

I colori dell’anima

di Isabella Tokos

Tutor: Stefania Cerasoli – Scuola: I.C. A. Sordi di Roma

 

Quella domenica, quando la signora Gallo bussò alla porta, ero profondamente immerso nei soliti ricordi del passato. La voce stentorea della direttrice spezzò di colpo la catena dei miei pensieri, mentre la pioggia alzava adagio il volume del suo concerto mattutino.

  «Buon giorno Tariq! C’è una persona che ti vuole parlare!»

Sorrise appena e si spostò di lato aprendo il passaggio a un omino gracile e bianco, pressappoco della mia statura, che avanzò esitante verso di me. Teneva tra le mani una lettera. La girava di continuo, timidamente. Mi fissava con uno sguardo sereno, talmente limpido, da farmi sembrare di scorgere nei suoi occhi scuri la stessa luce calda degli occhi neri di mio fratello, Asif.

  Mi venne subito in mente un’altra domenica, due giorni dopo il suo ritorno, come neolaureato in medicina.[…]

  Io ero insieme ad Asif sulla riva del fiume, dalla parte del bosco. C’era con noi anche Mahdy, nostro cugino, il mio amico più caro. Era abitudine ormai, che di tanto in tanto seguissimo mio fratello nel suo rifugio segreto, dove ci raccontava come è fatto il mondo. A lui piaceva molto raccontare, mentre a noi piaceva tanto ascoltare. Così tanto da non accorgerci nemmeno che il sole fosse calato, o che la sera avesse steso ormai la sua indolenza su di noi.

   D’un tratto sentimmo dei botti forti, urla, colpi di pistola e raffiche continue. Venivano dal nostro villaggio. Facemmo una corsa tremenda per tornare a casa. Trovammo le baracche in fiamme e le strade cosparse di corpi senza vita. Ci nascondemmo dentro un cespuglio, dietro a un muro fracassato e aspettammo stretti uno all’altro che i colpi finissero. Grosse macchine si misero in moto. Individui in divise scure e volti coperti, violenti e armati, gridavano e mitragliavano alla cieca. Salivano, ancora sparando, nei gipponi in movimento e presto furono via, portando con loro i resti di vita del paese, le ragazze delle nostre famiglie.

  Mio fratello ci teneva stretti, sentivo le sue dita dentro la mia carne; i suoi occhi parevano d’acciaio e riflettevano le fiamme che ballavano tra le lacrime trattenute. Si alzò di scatto e partì di corsa verso casa. Noi lo seguimmo da vicino. Sulla strada, steso per terra, trovammo il corpo di papà. Asif gli si buttò accanto e lo prese tra le braccia. Il suo pianto era disperato, le sue urla strazianti. Io rimasi davanti a loro immobile, paralizzato e muto. Ero sicuro di vivere un incubo. Pregavo di sentire mia mamma chiamarmi. Ma all’improvviso udimmo come un sussurro la voce debole di mio padre:

«Andate!»

«Papa, che cosa dici? Papà!»

  «Manda via i bambini, Asif! Mandali al sicuro! Cerca le ragazze! Non abban… donarle, figlio mio! Bo… ko…» La sua voce si stava spegnendo, mentre il suo sguardo mi accarezzò di sfuggita per poi fissarsi sul volto di mio fratello. Si fermò sulla sua disperazione e la bocca gli si riempì di sangue. In quel momento la notte ingoiò anche il mio cuore e non seppi più nulla.

  «Ciao, Tariq! Sono Padre Renzo. Come stai?»

Una voce calma e calda riportò i miei pensieri al presente.

  «Ciao!» Gli risposi. «Sto bene, grazie! Lei?» Lui mi sorrise.

  «Io faccio missionariato in Africa. La settimana scorsa, prima di partire per l’Italia, un conoscente mi ha chiesto di cercarti e di consegnarti questa lettera.»

  «Una lettera per me?» Rimasi stupefatto. Ero davvero emozionato. La presi in mano e la girai. Riconobbi subito la scrittura di mio fratello. Morivo dalla voglia di leggerla. Dimenticai persino di ringraziare e la aprii.

  “ Caro piccolo Tariq…”  In fretta mi asciugai gli occhi offuscati dalle lacrime che scendevano a rivoli e impedivano la mia lettura. Poi continuai con impazienza, tanto da non capire una parola di quel che leggevo così voracemente.

  Quindi la rilessi, e la rilessi ancora, e un’altra volta la ricominciai. Ma i miei pensieri non volevano ascoltare. Partirono di nuovo verso casa mia per farmi rivivere  i dolori di quei tempi.

Dopo che mamma e papà furono sepolti, Asif  mi portò nel villaggio vicino, dai genitori di Mahdy. Restammo solo qualche giorno lì. Avevo capito che lo zio raccoglieva soldi per mandarci via, fuori dal Paese. Me e Mahdy.

  Passate due settimane di viaggio in macchina, mio fratello ci consegnò a un gruppo di suoi conoscenti, per accompagnarci lontano dalla guerra, in Europa. Io avrei voluto rimanere, però.

  «Ascoltami bene, Tariq, non abbiamo tempo per piangere, ora. Tu devi salvarti! Tieni!  Questi sono i tuoi documenti. Per favore, piccolo, fa’ attenzione a non perderli! Tu fai il bravo e andrà tutto bene. Ci siamo capiti?»

  Asif si fermò per un secondo, ma io sapevo che come me, anche lui si sforzava di controllare il dolore. Gli accarezzai il viso chiedendomi se in futuro l’avrei potuto rifare. Lui mi strinse forte tra le braccia, e non riuscimmo più a fare gli adulti. Le lacrime cominciarono a correre sulle sue guance, sul mento e da lì scendevano sulla mia fronte, sui miei occhi e si univano con le mie, per bagnare completamente il viso di quel bambino di nove anni che ero. A un certo punto mi lasciò andare e mentre il barcone si allontanava sentii la sua voce in lontananza:

  «Ci rivedremo, piccolo, ti prometto, un giorno ti troverò. Non dimenticarti chi sei! Addio fratellino. Tariiq!»

  La notte era fonda e il mare turbato, come turbati erano le menti, le anime e i nostri tempi. Le onde rabbiose ci assalivano a scatti, frangendosi poi sulle nostre spalle.[…] Solo l’alba del quarto giorno che faceva i primi passi sul mare, ormai diventato limpido come una tavola d’argento, ci regalò all’orizzonte il lembo di terra su cui sostare.

  Per un altro istante, la pioggia con il suo lamento rubò di nuovo la mia attenzione. Mi avvicinai alla finestra e sollevai la tenda; alzai completamente le serrande dopodiché la sfidai con fermezza, puntando uno sguardo interrogativo e sfrontato dritto nei suoi “occhi” freddi, umidi e rumorosi.

  Goccia su goccia, finissimi granelli di vita scendevano dal setaccio del tempo. Goccia su goccia, i miei occhi seguivano il cadere continuo, la dissoluzione di una forma precisa, identica ai ricordi che le piccole sfericciole svegliavano con il loro effimero passaggio.

  Gocce di pioggia, minuscoli brandelli di passato, risvegli di vissuto, di un altro tempo e di un’altra terra, memorie di una risata o di un sorriso, del  suono di una voce, degli occhi di mia mamma,… e la tristezza nei miei pensieri pian piano si placò.

  L’immagine di quella famiglia, tuttora assai presente nella mia mente, mi riscaldava il cuore. Tra qualche anno forse, i filini degli altri ricordi saranno spezzati e volati via, portati dal vento dell’ oblio. Ma questi invece, no. Questi, rimarranno dentro di me, parte di me, essenza di ciò che sono, colori vivi della mia anima.

  Mi sedetti e ricominciai a leggere, liberando anche l’ultimo pensiero, affinché scendesse tra le righe di quella lettera, sciogliendosi nello scuro inchiostro.

  “L’anima é come un frantume di arcobaleno. Sotto pelle bianca, rossa, gialla o nera, allo stesso modo soffre, ama, odia, spera, sogna e teme la vita o la morte, secondo il colore con cui scegliamo di tingerla.”

  I miei pensieri ritornarono di nuovo nel villaggio, sulla collina, dove tante volte noi ragazzi danzavamo sotto la pioggia e dove, quando essa smetteva, restavamo tutti in piedi a salutare la striscia multicolore che sporadicamente ornava il cielo. Quelli erano i colori delle anime, così ci raccontavano le nostre mamme, e noi ne eravamo convinti; per questo non ci spostavamo da lì fino a quando la sera non ci avvolgeva, in modo che le nostre anime fossero dipinte accuratamente, con tutta la calma. Sorrisi a quel dolce ricordo, mentre la carta che tenevo in mano si ricoprì di lacrime. Tuttavia mi sforzai di allontanare l’amarezza dai miei occhi e ricominciai a leggere.

  “ Noi diventiamo il pensiero che coltiviamo, le curiosità che soddisfiamo, Tariq, le scelte che prendiamo; diventiamo quello in cui crediamo, ogni cosa noi immaginiamo. Sappi però che solo la consapevolezza di ciò che siamo genera dentro di noi i valori per cui combattere, i valori da proteggere con la vita. Non guardare più indietro piccolo, non troverai lì riposte alle tue domande, ma nel presente che vivi e nel futuro che crei. Ricordati sempre del nostro amore, dei momenti felici che abbiamo passato, senza paure e senza rimorsi. Sii forte e segui i tuoi sogni, ogni istante, fino alla fine. Ti voglio bene, fratellino, e ti abbraccio forte. Asif ”

 

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