Storia di una bambola di pezza

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Storia di
una bambola di pezza

di Alessandra Marangoni

 

Akihiro aveva passato la giornata a osservare, sovrappensiero, i piccoli fiori di ciliegio che decoravano i rami, oramai quasi completamente spogli, del grande albero che regnava padrone da tempi immemori in quella scuola storica, nonché la più prestigiosa di tutta Nagoya, mentre ascoltava la spiegazione del professore di storia, sull’importanza della guerra di Senkingahara che mise fine non solo alle continue lotte tra i feudi, ma segnó l’inizio di una nuova era per il Giappone: L’epoca Edo e l’apertura all’occidente.
Quello stesso giorno, trovó, ironia della sorte, una piccola scatola in un angolo del suo giardino, dissotterata dalle recenti e forti pioggie, contenente fogli ingialliti, pagine di un diario e lettere che scoprirá appartenenti all’epoca trattata quello stesso giorno a scuola.

1599, Marzo
Sono passati oramai sette anni dal giorno in cui venni accolta nella casata Tokugawa; sebbene lo ricordi come fosse ieri, sembra essere passato lo stesso tempo che viene scandito da un battito d’ali.
Gli occhi del nobile signore mi guardano spesso, con intensità penetrante come una corona di spine, e mal celato desiderio.
Da quando ho abbandonato la fanciullezza, nei suoi occhi non trovo più quella tenerezza che caratterizzava i suoi sguardi all’ incrociare i miei, sostituita da raggelante e morboso desiderio.
Questo significa diventare donna? Perdere ogni forma di innocenza e trasformare anche i più nobili uomini in misere bestie dominati dai propri primitivi impulsi.
Mi è capitato di ascoltare “per caso” una conversazione tra il mio nobile padre e il nobile signore, dove si discutevano concessioni di terre, piani di battaglie e del mio oramai prossimo matrimonio con il mio signore, chi ha scelto proprio me, una giovane donna che potrebbe essere chiunque o semplicemente nessuno.
La fina pioggia primaverile bagna i vetri della mia stanza, accompagnando il pianto del mio addolorato cuore.
Le lacrime scorrono giù per le mie guance senza che riesca a fermarle, i miei occhi dovranno imparare a guardare con dolcezza, mascherando il dolore che affliggerà la mia vita, quell’uomo che presto dovrò chiamare marito, il nobilissimo signore Ieyasu Tokugawa.

1599, Aprile
Qualche giorno fa ho ricevuto la notizia, dal nobilissimo signore in persona, che io e poche altre dame di compagnia  dovremo lasciare il palazzo Okazaki per recarci in un’altra residenza nella periferia di Mikawa fino a un suo nuovo ordine.
Mi è parso di capire che il motivo di questa scelta siano le continue lotte tra feudi; teme che la mia vita si trovi in pericolo se resto in questo castello, e considera che la nuova residenza sia più sicura.
Questa decisione mi addolora, dovrò dire addio a ciò che rendeva i miei giorni di prigionia, passati in questa gabbia d’oro e argento, più piacevoli; dovrò dire addio, forse per sempre, a uno dei giardini più deliziosi di tutta Mikawa, a ciò che mi fa sentire una donna, umana e alla pari di qualsiasi altra persona e non solo una inutile bambola di pezza senza valore, cui unico scopo è servire e ubbidire con la testa bassa ciò che gli uomini comandano.
Quante altre lacrime dovrò versare perché il mio povero cuore possa trovare la pace?

1599, Maggio
Oh, care pagine di diario, sapeste quante cose sono successe in questo corto lasso di tempo!
Solo qualche giorno dopo dalla notizia che avremmo lasciato il palazzo, siamo partite per la nuova residenza con una discreta scorta di guerrieri.
Lo stupore che ebbi quando i miei occhi videro il nuovo palazzo fu, senza dubbio, enorme.
La residenza è poco più piccola del palazzo Okazaki, ma ciò che il castello perde in dimensioni, lo guadagna in terra.
Il giorno dopo ricevetti una lettera dal nobilissimo signore, dove mi chiedeva se avevo gradito la sorpresa del giardino, e se mi piaceva quella “modesta” residenza, battezzata, in  onore mio 
”Castello Fukuda”.
Risposi immediatamente alla sua lettera, mostrando la mia completa gratitudine e felicità.
Ora passo fuori tutta la mia giornata, all’ombra di un ciliegio a leggere un libro o alla riva di uno dei vari ruscelli che lo attraversano.
Finché resto all’interno di questo angolo di paradiso, dove il tempo sembra fermarsi, dove l’unico rumore che abita l’aria è il canto degli uccelli e il fruscio dell’erba al vento, non più lacrime scenderanno.

1599, Maggio
Sono passate solo un paio di settimane, ma questa nuova casa mi sta riservando mille inaspettate sorprese.
Qualche giorno fa è venuto alla residenza il nobilissimo signore, per vedere come stavamo io e il resto delle dame.
Fu una visita speciale, perché il nobile signore non è venuto da solo, chiaramente,  ma accompagnato dal suo più fidato guerriero, un samurai di nome Isao Yukimura, lontano cugino del magnifico e temibile samurai Sanada Yukimura, il “demone cremisi della guerra”.
Quando i miei occhi incrociarono quelli del nobile Yukimura, un turbine di emozioni mai provate prima si appropriarono del mio cuore. Uno sguardo, uno sguardo che riuscì a congelare il tempo e lo spazio intorno a me.
Non ho mai potuto credere che l’eternità potesse avere la durata di un paio di secondi, ma quando quegli occhi si fissarono nei miei, nulla ebbe più importanza; finché avrò la possibilità di sprofondare in quei due pozzi scuri, posso affrontare qualsiasi cosa.
Ma l’incantesimo si spezzò quando dovetti abbassare lo sguardo, con le guance rosee dall’imbarazzo, per non destare sospetti.
Il giovane samurai mi regalò un sorriso gentile, e il mio cuore si scaldò, sciogliendo il gelo che le gabbie d’argento in cui sono intrappolata hanno creato in esso.

1599, Maggio
Maggio sta giungendo al termine, e le giornate passate nel mio giardino si fanno sempre più speciali, accompagnate dal ricordo del mio samurai.
Questo ambiente già magico di suo, ha più vita di quanta ce ne sia fuori da queste mura. Questo giardino respira e vive con me.
Ho ricevuto sue lettere, la prima è arrivata il giorno dopo della sua partenza, non c’è posto più sicuro di questo diario, quindi è qui dove le lascerò, per nascondere le prove di questo amore illecito, se lo dovesse venire a sapere il nobile signore con ogni probabilità mi riserverebbe lo stesso trattamento della sua defunta moglie: l’esecuzione immediata.

Lettera, Maggio 1599

Che tutte le divinità  mi puniscano per questa mia insolenza, non credo esista torto più grande che un misero mortale come me mandi una lettera a una dea.
Sarò pronto ad accettare qualsiasi punizione gli dei vogliano impormi, con la testa alta e senza paura, perché non mi potrò mai pentire del gesto che sto compiendo con questa pennello e questa carta di seta.
Lo scorso giorno, quando ho accompagnato il mio nobile padrone alla vostra residenza, il mio cuore è stato catturato dai vostri occhi.
Occhi tanto speciali non ne ho mai visti, occhi che riuscirebbero ad ottenere la luna, il sole e tutte le altre stelle, se solo non fossero velati di quella dolorosa tristezza.
Occhi che riescono in un solo momento a trasmettere tenerezza e amore, gli unici occhi di donna che siano mai riusciti a sciogliere il cuore di un samurai.
Occhi che trasmettono vita a un uomo che è troppo abituato a vedere solo la morte.
Spero di ricevere una vostra lettera, mia bella dama dagli occhi tristi, e giuro sul mio onore che riporterò il sorriso sulle vostre labbra cremisi, se solo me ne date la possibilità.

Isao  Yukimura.

E così  risposi a questa prima lettera, trasformando in parole ciò che il mio cuore sussurrava alla mia anima, passandole su carta, creando una lettera proibita, una lettera che non sarebbe mai dovuta esistere.
Continuammo a scambiarci parole d’amore con queste lettere, che erano diventate l’unico modo per sentirci vicini, l’unico modo che avevamo per amarci, finché, pochi giorni fa non è arrivata questa, divenuta più speciale e più pericolosa delle altre.

Lettera, Maggio 1599
Sebbene all’inizio mi bastasse l’essenza che queste lettere mi trasmettono di voi, mia nobile dama, oramai non mi bastano più.
Ho bisogno di vedervi, Haruko, di sentire il vostro profumo di fiori, guardare e lasciarmi intrappolare nei vostri occhi luminosi, e finalmente vedere un timido ma sincero sorriso sulle vostre labbra carmesì.
Voglio abbracciarvi, ho bisogno della vita che solo voi potete trasmettere già solo con delle lettere, per cancellare dalla mente questi ricordi di morte e guerra, fatemi dimenticare di come io, un semplice uomo, ha ucciso altri uomini nobili quanto lui, fatemi dimenticare gli orrori, la distruzione di cui gli esseri umani sono capaci.
“I ricordi di morte,
nella mia mente.
Odore di sangue”.

E così finisce l’ultima e preziosa lettera che ho ricevuto dal mio samurai, poesia che trasmette quanto dolore ha sentito la giovane anima del mio guerriero, dolore che placherò con il sorriso che tanto desidera vedere sulle mie labbra.
La prossima volta non saranno più pagine fredde ciò che accarezzerò, ma il viso chiaro del mio caro samurai: il desiderio, i sogni racchiusi in gocce di inchiostro prenderanno vita, e il magico giardino sarà testimone di un peccato mortale, sarà testimone di sguardi, carezze, sospiri proibiti.

1599, Giugno
Le giornate le passo a imparare tutto ciò che la moglie del nobilissimo signore dovrebbe sapere per essere, almeno in parte, alla sua altezza.
Giornate vuote, morte, giornate vissute come una bambola di pezza,giornate vissute come “la dama dagli occhi tristi”.
La notte questa bambola di pezza prende vita, e i suoi occhi non sono più tristi. Le sbarre d’oro e d’argento si frantumano, e posso sentire il piacere della libertà tra le braccia del coraggioso samurai.
Quando le luci del palazzo si spengono, ogni regola imparata e imposta non ha più importanza.
Quando le luci del palazzo si spengono, e tutti chiudono gli occhi, i tabù cessano di esistere.
Quando i miei occhi incontrano quelli del nobile samurai, la paura si dissolve.
Quando le mie labbra si uniscono a quelle del mio Isao la morte diventa alla pari di uno scaccomatto nello Shogi, una sconfitta a cui tutti prima o poi andremo incontro.
La notte diventa il momento in cui l’impossibile si avvera, perché noi lo vogliamo. Il momento in cui anche due persone come noi possono amarsi.
Le lucciole illuminano parzialmente il nostro viso, i nostri sospiri diventano l’unica musica, mischiata con il fruscio delle foglie, nel giardino, anch’esso dormiente.
Un battito di ciglia, uno sguardo, sussurri, e il nostro corpo, la nostra mente, sembra fondersi con ogni essere vivente in quel giardino. Alla fin fine, gli esseri viventi sono accumunati dalla vita, la vita trasmette altra vita, questo giardino assorbe la vita che il nostro amore gli trasmette, e noi assorbiamo la vita che il giardino vuole donarci.
Il mondo è un miracolo sempre in equilibrio, finché esisterà questo scambio reciproco, la morte non sarà mai una sconfitta, perché io sono vita, e quando morirò vivrò ancora, questo giardino racchiude in sé una parte della mia essenza, racchiude in sé una parte della mia vita.
Ogni notte, io e il nobile Isao ci incontriamo in segreto nel giardino, oramai testimone silenzioso dei nostri “peccati”, sebbene non riesca a capire come un amore così semplice, disinteressato possa essere peccato, non capisco perché gli sguardi pieni di tenerezza che ci scambiamo dovrebbero essere proibiti, non capisco perché gli esseri umani si impongano regole che li rendano semplici fantocci morti e infelici.
Quando oramai l’alba rischiara il nostro nido d’amore, l’incantesimo si spezza lentamente, facendomi tornare una miserabile bambola, un fantoccio che si adegua alle convenzioni imposte dalla società come un qualsiasi altro essere umano.
Quando l’alba annuncia il nuovo giorno, colorando il cielo sopra alle nostre teste di mille colori, come se una divinità avesse rovesciato dei barattoli di tempera su quella distesa azzurro chiaro, creando un dipinto che nemmeno il più bravo degli artisti potrà mai riprodurre, mi sento di nuovo prigioniera delle sbarre d’oro e d’argento, il mio sorriso sincero si spegne come una lucciola morente, e i miei occhi si velano di nuovo di tristezza e con immensa angoscia guardano quelli altrettanto tristi e velati del mio dolce amante, che con un tenero bacio sulla mano mi saluta sussurrando “addio, dama dagli occhi tristi”. Un sussurro, quasi un sospiro, che mi fa crede che quell’incontro, come qualsiasi altro precedente o futuro, potrebbe essere l’ultimo, un addio che rende il futuro incerto, ma fa diventare il passato dei momenti che abbiamo condiviso insieme più vero e tangibile di qualsiasi presente. Il giardino si sveglia dal suo lieto sonno, pronto a passare un’altra giornata immerso nell’indifferenza degli uomini, donando vita ma senza riceverne a cambio, e morendo piano piano.

1603, Maggio
Stavo rileggendo le vecchie pagine di questo oramai datato diario, e non sono riuscita a contenere lacrime di tristezza leggendo l’ultima pagina scritta.
Quella notte di Giugno fu l’ultima volta che vidi il mio amante, e questa bambola di pezza non si trasformò di nuovo in una dama viva, rimanendo con gli occhi tristi per sempre.
Il matrimonio con il nobilissimo signore venne rimandato più e più volte a causa delle numerose guerre; il mio samurai stava bene, ma troppo impegnato in queste continue lotte al fianco del nobile signore per poter venire, ma io so che non passava notte senza sussurrare il mio nome, e se non moriva era per me, perché sapeva di essere la causa del mio sorriso. Nella sua ultima lettera mi scrisse: “Non morirò, non qui, non finché non vedrò un altro sorriso sulle labbra della mia dama dagli occhi tristi, non finché quella tristezza svanisca come fumo al vento.”
Nel 1600 scoppiò la guerra di Senkingahara, dove il mio samurai morì combattendo valorosamente per il bene della sua patria, morì senza vedere quel sorriso che tanto amava, morì senza dire addio alla sua dama dagli occhi tristi.
Il nobile signore è diventato il nuovo signore della guerra, è diventato il nuovo Shogun, dando il via ad una nuova era, magari migliore della precedente, o forse semplicemente continuando il cammino che ci  porterà alla distruzione. Io, ad ogni modo, non vedrò questo triste futuro, poiché mi restano pochi mesi di vita, che passerò nel mio giardino, dove con un po’ di fortuna morirò, donandogli anche il mio ultimo respiro, diventando le piante, i ruscelli che lo popolano, diventando l’aria stessa, ancora impregnata dell’amore che io e il mio amante ci siamo scambiati, rendendo la natura intorno a noi l’unica testimone e partecipe di questa passione che supera ogni limite umano.
Con le ultime forze che mi restano, sotterrerò queste lettere e pagine di diario contenenti i ricordi di un amore, proprio nel mio caro giardino, così da diventare immortale ed essere finalmente un tutt’uno con esso, vivere nei ricordi, di quando ero donna, di quando i miei occhi erano tutt’altro che tristi, perché potevano specchiarsi in quelli del più valoroso dei samurai.

“Nei begli occhi tristi,
di una dama,
una lacrima scende.”

Akihiro chiuse gli occhi, cercando di assimilare ciò che aveva appena letto. Con passo veloce uscì da casa, dirigendosi nel luogo in cui aveva trovato la scatola contenente le lettere e il diario.
Si guardò intorno, con una triste amarezza nel cuore. Ciò che era stato il testimone di un amore è morto, e l’unica cosa che restava di lui erano i piccoli fiori che, con fatica, uscivano dalle crepe dell’asfalto.
Tutto è cominciato con l’assassinio di un giardino, e finirà con il nostro sterminio, causato solo da noi stessi, ci stiamo uccidendo progressivamente credendo di starci salvando.
Il ragazzo guardò il cielo notturno: una distesa nero petrolio. Neanche una piccola luce su di essa.
Dove sono finite le stelle? Così occupati a cercare la perfezione e i tesori, senza renderci conto che non solo ce ne stiamo allontanando, ma la stiamo anche distruggendo. Consumiamo avidamente la vita che il mondo ci dona, ricambiandolo con semplice morte, segnando in questo modo la nostra stessa fine.

E tutto diventerà
Solo ricordi,
Sotto i nostri occhi.

 

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