Recensioni: Occhetto

Achille Occhetto ovvero l’arte del coraggio

Ho avuto la ventura di leggere l’ultimo lavoro di Achille Occhetto, Pensieri di un ottuagenario, editore Sellerio, che per l’occasione ha avuto la lungimiranza di cambiare rotta. È un libro per l’appunto fitto di pensieri e di passione temperata dal giudizio che, a partire dalla constatazione (mai desolata) delle rovine del postcomunismo e dell’apparizione di una nuova sinistra miope e spregiudicata, incapace di elaborare i propri lutti, danno l’impulso a una ricerca affascinante e appassionata: il significato e il senso del concetto di libertà. Un viaggio a partire dal passato, una sequenza di riflessioni tra umanesimo, scienza, politica e filosofia.

È nello svolgere questa ricerca, moderno Diogene a cui lo stesso autore si apparenta nel portare luce laddove possibile con la sua lanterna in un mondo di ombre sfuggenti, che Achille Occhetto mostra con naturalezza grande umanità e statura. Umanità fatta di domande sulla libertà e su ciò che ha rappresentato questo concetto nella storia, ivi comprese le sue mancate concrete applicazioni; domande sempre più caparbie e complicate con lo scorrere del testo da parte di chi per propria natura non si da per vinto, e anzi studia coraggiosamente nuovi percorsi su cui riprendere il cammino. Senza nascondere qua e là paure, incertezze e vicoli ciechi. Statura nell’afferrare per le corna la brutta bestia delle certezze inamovibili che ha marchiato a sangue per generazioni intere una gran parte della sinistra e ancora non ha smesso di arrecare danni. Una per tutte mi sento di citare la demolizione del luogo comune della meritocrazia, portata a termine con una manciata di parole di rara chiarezza:

…l’esaltazione acritica della assoluta libertà dell’individuo è alla base delle concezioni individualiste, competitive, incuranti delle differenze. È sempre stata mia convinzione che gli assertori fanatici del libero arbitrio anziché essere, come comunemente si crede, portatori di libertà, sono i più acerrimi avversari dell’esigenza di coniugare uguaglianza, libertà e solidarietà, e sono propugnatori, di fatto, di regimi oligarchici e discriminatori. La meritocrazia e l’esaltazione ossessiva della competizione al posto della cooperazione sono i frutti avvelenati di quella concezione.

L’autore insomma si lancia a testa bassa su terreni ardui e scivolosi dove mai nessun uomo politico si era avventurato prima, perlomeno di recente, dimostrando in questo nobile esercizio di possedere una libertà di ricerca oltre che una vitalità le quali, piuttosto che in un ottuagenario, sarebbero prevedibili in un giovane.

…corriamo il rischio che l’umanità produca la più grande delle mostruosità: un progresso tecnico sempre più grande al servizio di idee sempre più piccole. Il progresso è lastricato di acquisizioni e di perdite.

E alla fine del suo viaggio, in piena coerenza con lo spirito di questa impresa, non si spinge affatto a formulare risposte certe alle domande poste. Infatti, alla ricerca del riflesso delle idee sull’agire politico, oltre a metterci in guardia dalle nuove tentazioni (il nuovismo senza principi e il conservatorismo dogmatico, che si giustificano a vicenda), ci indica la strada che gli sembra indispensabile per realizzare un nuovo illuminismo: il potere come servizio, finalizzato a rinnovare la politica; la liberazione della donna, mai davvero realizzata; un sistema scolastico dall’insegnamento non solo razionale, ma fortemente emotivo, che sappia suscitare la passione dell’impegno civile. È il “Paese dell’Utopia”.

Ecco perché considero bellissima, nonostante il suo forte accento ironico, la frase finale:

Scusatemi, se ho avuto un sogno.

Chapeau, Mister Occhetto, non è da tutti farlo. Di questi tempi poi.

 

Maurizio Centi

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