Olio e aceto

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Quarto classificato

Olio e aceto

di Ivana Saccenti

 

 

Lo incontrai al solito posto.
Se andavi a fargli visita, inutile cercarlo nelle antiche stanze della masseria bianca di calce e di sole. Inutile chiamarlo, non ti avrebbe sentito.
C’era un unico posto dove lo avresti trovato.
L’uliveto.
Zi’ Gaetano viveva solo nella grande casa, dopo che i genitori erano morti. Le tre sorelle e un fratello, mio padre, se ne erano andati al nord, negli anni 60, richiamati dalla chimera delle grandi città.
Non si era sposato e questo aveva lasciato nel cuore di sua madre una grande pena, fino alla fine dei suoi giorni.
“Prendi moglie, devi sposarti figlio mio, voglio morire tranquilla” ripeteva.
Era stato un bel giovane, moro, alto, occhi caldi mediterranei. Tipo mite, affabile con tutti.
Non ebbe mai storie d’amore. Partì militare, ma tornò poco dopo. Non ne seppi il motivo.
Seppi invece che in paese, qua e là, cominciarono a muoversi strane voci che lo definivano “non normale”. Non ne compresi il significato.
Non decise, come i suoi fratelli, di partire. – Mi manca il coraggio di lasciare tutto. Preferisco restare.-
Rimase lì e gli sono riconoscente perché, grazie a lui, la storia della vecchia masseria, legata al secolare uliveto, ha potuto continuare.
Passava le giornate tra gli ulivi . A lavorare. A riposare. Gli ulivi erano la sua vita. Gli portavano gioie, soddisfazioni, preoccupazioni, come i figli.
Ogni albero aveva la sua storia.C’era quello più giovane, quello più vecchio, quello che aveva rischiato di morire per la grande gelata, quello che aveva preso una malattia, quello che, nonostante gli anni, continuava a dare ottimi frutti.
E poi c’era il suo prediletto, che lo ospitava quando aveva bisogno di dormire, pensare, sognare. Le radici, sporgendo dal terreno, avevano creato un giaciglio naturale, che col tempo si era modellato a sua misura.
Lo trovai seduto lì quel giorno.

– Ciao zio, che fai?
– Ascolto.
Mi guardai attorno. Nessuno.
– Ascolto gli ulivi. Parlano con la voce del vento.Mi raccontano storie. Basta saperli ascoltare, come con i cristiani. Oggi la gente non ha nemmeno il tempo di ascoltare le parole, figurati se ascolta il vento. Mi tirò per  un braccio e mi fece sedere accanto a lui. Con l’indice accostato alle labbra, sussurrò:
– Ascolta.
Un soffio leggero, soave, sfiorò le mie orecchie. Un bisbiglio prima lontano, poi sempre più vicino e chiaro. Una voce raccontava…..
– Quell’anno il raccolto fu buono. Il vecchio torchio scricchiolante aveva ormai concluso i suoi girotondi.

Era nato OLIO ed era perfetto.
Occhi esperti, palati fini e narici sensibili ne ammirarono con orgoglio e soddisfazione la corposità, il colore dorato, il carattere tutto italiano dolce e fruttato, con leggere note amarevoli.
Olio era richiesto e apprezzato da tutti, ma i suoi migliori amici erano Dorino (di cognome Pomo), Rino (Peco di cognome) e Pasta, con i quali condivideva l’amore e la passione per la cucina italiana e per la propria terra.
Pasta adorava Olio. Anche quando Dorino e Rino mancavano, le bastava lui. I loro due caratteri, così mediterranei, legavano perfettamente.
La mamma di Olio gli ripeteva: – Pasta è la più buona e più fresca che ci sia. Te la devi sposare quella ragazza. Siete fatti l’uno per l’altra –.
Era vero, ma dentro Olio aveva preso forma un’altra verità. All’inizio era qualcosa di sconosciuto che arrivava da lontano, di cui non aveva mai sentito parlare e che lo aveva turbato e confuso. Col passare del tempo, però, si delineava sempre più, fino a prendere la forma e i contorni precisi di una verità che imparò ad accogliere e coltivare. Ma sapeva che sua madre non avrebbe fatto altrettanto. Per evitarle dolori e delusioni, prese coraggio, lasciò gli amici e partì per il nord.
Approdò in quel di Modena, conteso dai migliori ristoranti.
In uno di questi conobbe ACETO BALS-AMÍCO, un incontro che segnò la vita di entrambi.
Aceto era un tipo aristocratico, riservato, nato in una nobile cantina, cui piaceva fare il prezioso, non concedendosi che per poche gocce.
Le insalate lo odoravano e lui si sposava con tutte. Quando si stancava delle solite esperienze, azzardava nuove emozioni. Si univa così con disinvoltura alle fragole, ma anche ai ravioli, agli arrosti e, perché no, … al gelato. Due, tre gocce, non di più … e con un tocco magico li ravvivava e li esaltava.
Olio e Aceto erano del tutto diversi: biondo, liscio, tranquillo, generoso e morbido l’uno; bruno scuro lucente, brioso, stuzzichevole, restio a concedersi l’altro.
Tuttavia, per la legge degli opposti, l’attrazione fu inevitabile.
Avvenne quella sera in cui s’incontrarono su una foglia di insalata. La prima goccia di Aceto sfiorò Olio delicatamente; la seconda lo inebriò di aroma intenso ma gentile; la terza … .
Si mescolarono, si rimescolarono, fondendo armoniosamente le loro fragranze fruttate.
Ora la Verità di Olio librava oltre ogni confine, libera -.

Io e lo zio ci guardammo. – Quante volte ho sognato di andarmene – disse – ma mi è sempre mancato il coraggio. Perché per andarsene ci vuole coraggio -.
Si alzò a fatica, appoggiandosi a me.
Lo osservai allontanarsi.
Il suo corpo si mimetizzava con gli ulivi.
La camicia e i pantaloni grigoverde si confondevano col fogliame.
Le gambe, ossute e curve come i tronchi nodosi e contorti.
L’andatura oscillante seguiva il movimento dei rami toccati dal vento.

– No, zio, ti sbagli. Coraggio ne hai avuto tanto. A restare – .

 

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