La tempesta rovinosa e la questua del nonno

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La tempesta rovinosa
e la questua del nonno

di Ilde Rosati

 

29 giugno 1933.

La giornata era partita assolata come l’inizio d’estate comanda, ma già ai rintocchi delle undici del mattino, s’era alzato un vento freddo ed il cielo si era oscurato velocemente.

Dalla pianura salì un nuvolone dal colore indefinibile che tendeva al marrone…è in arrivo una tempesta pensò la nonna Annita molto attenta ad ogni variazione. Stranamente si era fatto silenzio nella valle del Tassobbio e alla nonna parve che anche gli uccelli non volassero più.

Il nonno Alberto era andato a messa alla Pieve di Pianzo perché non aveva seguito la nonna alla messa del mattino.

All’uscita dalla chiesa, capì subito che era in atto un forte cambiamento: accellerò il passo per arrivare a casa prima della pioggia e mettere al coperto le pecore.

Il rombo dei tuoni intanto si avvicinava e la nonna aveva chiuso in fretta il portone della stalla, sbarrato la cantina e raccolto il bucato che sbattendo aveva già rotto i ganci di legno dal filo di ferro fissato all’olmo e alla quercia che erano alle estremità del cortile della casa di sasso.

Si fece buio quasi all’improvviso, cattivo auspicio per chi cura la campagna, ed il vento si fece così forte che i rami della grande quercia si piegavano pericolosamente verso il tetto della casa. “ Viene la grandine, Berto, e alla Piana dei Brugnoli il frumento è maturo…ho paura che non lo trovremo più in piedi!”presagì la nonna e lo fece a voce alta che il vento portò via.

Il nonno non rispose ma pensò che la ‘Nita’purtroppo poteva aver ragione.

La nonna fece appena in tempo ad entrare in casa che iniziò a piovere con gocce così grosse che in quarant’anni non aveva mai visto, si sentiva un rumore sordo sul tetto, ma era solo l’inizio: in breve il rumore si fece sassaiola, i vetri si rompevano, il nonno aprendo la porta per entrare, procurò una corrente d’aria che fece cadere la lucerna.

Mia madre (allora aveva 10 anni) si accovacciò tenendo stretto il fratello un po’ più piccolo, tra la madia ed il camino. Il nonno con il “basèl” teneva chiusa la botola che serviva a salire sul tetto, il vento l’aveva aperta e cadevano i coppi in cucina.

La nonna si inginocchiò a pregare davanti all’immagine di Sant’Antonio Abate, ospite in tutte le case.

“E’ grandine grossa come uova di gallina, sta rovinando tutto” disse il nonno che non poteva vedere, ma sentiva i rumori dei rami che si spezzavano.

L’orizzonte era diventato il cortile perché la grandine fitta come neve, grossa e distruttiva aveva invaso il cielo nero. Avevano la percezione di essere dentro una bolla di vetro che minacciava di spezzarsi da un momento all’altro.

Il nonno immobilizzato con le braccia alzate a premere la botola con il basel guardava con crescente terrore verso la finestra aperta dalla quale entravano palle di ghiaccio, ma raccomandava ai due bambini che presto sarebbe finita e sarebbe ritornato il sole.

Le mucche della stalla, sotto ai loro piedi, si agitavano sbattendo le catene e la nonna, con un atto di coraggio, uscì, e camminando radente al muro, entrò nella stalla ad acquietare le mucche che la guardavano con gli occhi sbarrati in procinto di spezzare le catene.

Quando, dopo circa mezz’ora l’uragano si calmò, agli occhi smarriti dei miei nonni si mostrò uno scenario apocalittico…tutto distrutto: alberi, frutta, animali da cortile, pollaio, il già traballante ovile e persino le pecore.

Si era salvato solo il montone che per primo si era infilato nella legnaia, ma ci volle fino a sera a convincerlo ad uscire da quel posto.

La tempesta aveva ridotto alla miseria gli abitanti di Leguigno, Montale, Ariolo , Pianzo e Barazzone: case senza tetti, alberi spezzati, frumento ed erba rasi al suolo, finestre divelte, fienili e ricovero animali distrutti, animali da cortile morti, pagliai inesistenti: sembrava fosse passato un rullo compressore a distruggere ogni cosa.

La disperazione è la parola che meglio esprime lo stato d’animo di quei contadini.

Il parroco di Pianzo, il rev.Cacciani si aggirò nella parrocchia cercando, con parole di consolazione, di sollevare gli animi e consigliò di aiutarsi l’un l’altro formando un gruppo di soccorso che seguisse la logica delle urgenze.

Seguirono il consiglio. Decidevano di ricostruire un fienile? Tutti per il fienile, pregavano all’inizio lavori, parlavano tra di loro e lavoravano fino all’Ave Maria..

Ringraziavano Dio ogni sera perché con il lavoro svolto si rimettevano piano piano a posto le cose.

Tutto l’anno lavorarono a gruppi procedendo alacremente come un piccolo esercito della solidarietà; nessuna famiglia venne lasciata sola, sistemarono case, stalle, campi… alla meglio, con i mezzi che avevano e quando si era finito una famiglia si iniziava con un’altra….

Fecero un voto nella speranza non succedesse più un flagello del genere e promisero al Signore di offrire qualche cosa che sarebbe servito ad aiutare le persone più povere.

Il mio nonno, uomo da sempre animato da fede cristallina, si offrì di fare la questua alcuni giorni prima del 29 giugno di ogni anno passando casa per casa nei paesi vicini.

L’anno seguente quindi verso il 20 di giugno, quando i lavori nei campi erano in pieno fermento, e la nonna avrebbe avuto molto da ridire se non fosse stata anche lei animata da grande fede, il nonno si armava del “basel” sulle spalle dal quale pendevano due ceste di vimini di propria fattura, partiva per il giro di questua.

Montale, Trinità. Barazzone, Pianzo, Cà Camberto…visitava i borghi, gli stessi colpiti dalla tempesta: nessuno poteva offrire gran chè: un cotechino, un rotolo di tela, uova, qualche gallina, un seggiolino impagliato, un formaggino di latte vaccino, e se andava bene, un salame.

Il giorno di S.Pietro e Paolo, anniversario della catastrofe, sul sagrato della Pieve di Pianzo dopo la messa si adunavano a capannello intorno al mio nonno che, seduto su di un panchetto con ai piedi i cesti, le galline, le uova e tutto ciò che aveva raccolto, batteva l’asta, si direbbe oggi e vendeva le cose al miglior offerente.

Da Leguigno arrivavano appositamente i pollivendoli che se ne tornavano con ceste piene di uova. Non raccoglieva molto…20 lire, 25 lire se andava bene…le consegnava al Parroco che provvedeva ad aiutare le persone più disagiate come chi aveva perso tutto l’anno prima.

Il voto che i parrocchiani avevano fatto, fu osservato per anni, e ogni anno il mio nonno se ne faceva carico, fino a che il Parroco don Cacciani fu Priore di Pianzo e cioè fino al 1952 circa.

 

 

 

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