La signora in verde

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Secondo classificato

La signora in verde

di Giovanna Nosarti

 

 

L’autostrada è un nastro trasportatore che m’inghiotte ogni venerdì pomeriggio, ed ogni volta impreco con garbo, perché detesto la volgarità, contro il destino beffardo. Ottanta chilometri di dubbi, di recriminazioni, di attesa, ma come sempre all’arrivo svuoto la mente, ho imparato bene a farlo. Ho sofferto, sono impazzita, alla fine del dolore ho imparato ad addomesticare i miei sentimenti, le mie emozioni; i miei desideri, li ho ricacciati nel buio pesto di qualche anfratto irraggiungibile. So che non è una cosa sana, ma ho dovuto sopravvivere, per me, per i miei figli soprattutto.

Il traffico del venerdì sera è intenso, ma è concentrato nella corsia opposta, io vado controcorrente, dalla campagna verso la città. Quando scorgo i primi palazzi già rimpiango il verde; le luci fitte delle finestre illuminate, le insegne dei negozi e dei locali, le scie luminose che lasciano gli uomini fra i parallelepipedi di cemento mi disorientano. Cerco invano i contorni scuri delle colline, delle querce secolari, dei lentischi, dei carrubi.

Il parcheggio sotto casa è libero, scendo dall’auto e m’infilo nel portone come chi si muove per abitudine. L’ascensore mi porta all’ultimo piano. Suono, e mentre aspetto, come sempre, leggere il mio nome sul campanello mi turba, ma mi riprendo velocemente. Non mi aspetto niente, non voglio soffrire per niente al mondo. So già tutto quello che accadrà, che è tutto quello che ha riempito il nostro più o meno tacito accordo. Non mi aspetto nulla, recito la mia parte.

“Ciao, non capisco perché ti ostini a non usare le tue chiavi, perché vuoi fare l’ospite. Dai entra, testarda signora in verde…”

“L’accoglienza è sempre stata il tuo forte, ciao caro come stai?”

“Sono in decompressione, ancora qualche ora e sarò sufficientemente rilassato”. Decompressione, termine inquietante, per fortuna il fenomeno da due anni mi riguarda solo il venerdì sera; per anni, con diretta proporzionalità rispetto ai progressi della sua carriera, è stato il mostro silente delle nostre serate feriali. Alle nove, quando rientrava accompagnato da squilli, vibrazioni di mail e di sms, che impedivano anche un saluto veloce, era ancora in fase pre-decompressione, incapace di gustare il piacere di sapere che la famiglia lo aspettasse. Alle dieci, già abbastanza decompresso, fumava in solitaria, alle undici beatamente decompresso dormiva sul divano davanti alla televisione. Turbare il periodo di decompressione con urgenze comunicative, richieste, considerazioni inopportune era non solo pericoloso, ma anche deleterio, per il mio sistema nervoso soprattutto. Una domanda fuori luogo, una nota stonata e il malumore inquinava il nostro ritrovarsi in notturna.

Ora si controlla, del resto ha campo libero per un’intera settimana in cui si concede tempi di decompressione commisurati ai livelli di stress lavorativo, senza intrusioni di alcun tipo.

Due anni fa la decisione; io, dopo una lunga depressione, sono andata a vivere nella nostra casa di campagna, lui è rimasto in città. Tanto la sua vita si consuma ormai da anni fra la società di consulenza, di cui è amministratore delegato, e qualche ora di alienata presenza in casa. I figli sono andati via, la casa si è svuotata, quasi quanto l’amore che acceso la nostra vita per tanti anni.

“Questa sera ceniamo a casa, lo sai, non me la sento di uscire il venerdì, Teresa, come le hai suggerito, ha preparato il cous cous di verdure e uno sformato di zucca e porri, c’è del buon vino rosso e una macedonia di frutta fresca. Per te che sei così green credo che questo menu vada bene”

“E’ sempre efficiente Teresa, è un conforto! Così carina con le sue attenzioni per te, sa che la sua presenza mi fa sentire meno in colpa per averti preferito il verde e per averti lasciato da solo nella giungla d’asfalto”, aggiungo più per rassicurante abitudine, che per vera contrizione. Ormai, che cinismo, ho imparato anche a dissimulare.

Alla fine della cena, immancabilmente ha bisogno di dimostrarmi che il suo livello di testosterone è ancora attestato su livelli giovanili. Lo lascio fare, mi concedo docile al suo eros, seguendo percorsi che mi conducono inevitabilmente al piacere senza grandi coinvolgimenti passionali, è il bello di conoscersi da tanti anni. E’ lontano il tempo dell’amore che colorava l’eros di un abbandono totale, che lasciava la bocca secca e le membra spossate, che percorreva tutte le fibre del corpo. Mi addormento con qualche difficoltà, mi manca il verde, la mia camera da letto che dà sull’aiuola di lillà e di gelsomino, sulla poesia della rosa mutabilis. Mi manca il rumore del vento fra le fronde che mi culla fino al sonno, le facce beffarde dei puttini che dai decori del letto della bisnonna sorridono a chissà quale miracolo amoroso del passato. Oggi, invece, l’amore è così scontato, noioso, stressato, costretto in angusti spazi.

Quando filtra la prima luce schizzo nella doccia, da un po’ di tempo è come se volessi divorare in fretta questi due giorni che trascorriamo insieme, per ritornare alla mia clausura campagnola, nella quale non c’è passione esaltante, ma c’è molto godimento per la pace che respiro.

Dopo la colazione: “Sei pronta per andare a correre?”

Sa bene, però, che detesto correre…Usciamo in tenuta da jogging e corriamo in silenzio per due ore attraverso il parco. La decompressione è totale, la domenica si può affrontare senza panico. Il ritorno al business avverrà con molta carica e con rinnovato vigore, e l’equilibrio precario che regola la settimana lavorativa verrà santificato.

Il rito del parrucchiere nel pomeriggio mi riporta indietro nel tempo, a quando le pubbliche relazioni spesso di sera richiedevano un look impeccabile. Mentre mi phonano i capelli, nello specchio vedo il mio prato verde di tarassaco, punteggiato di margherite e di trifoglio. Il ritorno alla realtà è brusco ed ha la voce di Laura, una nostra conoscente: “Ciao Nilde, ormai è proprio vero che hai l’aria della contadina! Sempre abbronzata, lo sguardo sereno e svagato, il look molto country! Non sai che ti perdi, però. Per esempio una festa come quella per i cinquant’anni di Claudia. C’era anche tuo marito, in gran forma, ha addirittura ballato per tutta la sera, lui che ha sempre snobbato il ballo. E’ stato brillante, simpatico, ha animato la serata. La tua lontananza gli fa bene…”

Non soffro più per queste battute pungenti, fa più male l’ortica con cui combatto nell’orto. Ora riesco ad accettare tante cose che in passato mi facevano soffrire. Convivo evangelicamente con la zizzania, che un tempo cercavo di estirpare con tutte le mie energie.

Luca mi ricorda intanto al telefono: “Nilde, ho prenotato il nostro ristorantino preferito, fatti bella, ci aspettano alle venti, sai che detesto arrivare in ritardo!”

Lo so bene e so anche quanto si adombri per tutto ciò che turba l’ordine costituito. Ecco faccio parte anch’io di quest’ordine, ma devo fare la brava, come dice lui, altrimenti non va bene. Non posso far parte dell’ordine costituto e nello stesso tempo turbarlo, non rientra nel regolamento. La critica, anche quella più costruttiva, per lui, può essere irritante.

Mi guarda soddisfatto quando mi siedo davanti a lui nel ristorante, poi, senza interpellarmi, ordina i nostri piatti preferiti.

Nella borsa il cellulare vibra, un sms. Sandro, il mio vicino, scrive: ”Le tue finestre buie rendono la notte meno amica, manchi a tutte le piante del tuo e del mio giardino…”

Arrossisco mentre leggo, ma lui non se ne accorge, è impegnato con le mail di lavoro che, ignare dei tempi della decompressione, gli arrivano di continuo. Quando riemerge, ordina il vino. Tra me e Sandro, d’altro canto, non c’è niente, solo una vicinanza giardinieristica, un’intesa fatta di silenzi, di sguardi, di piccoli gesti, di erbacce da estirpare. Spesso al mattino, sotto il pergolato, sul tavolo di peperino, mi fa trovare fiori freschi, frutti, ortaggi raccolti per me e la giornata si colora di profumi, sapori, bellezza. La sera, quando ritorna dai suoi giri di agronomo, m’invita a sedere con lui sotto il portico e il silenzio della campagna rapisce i nostri pensieri e centellina le nostre emozioni, come facciamo noi con il nespolino. La parola “buonanotte” risuona sempre improvvisa nell’aria immota e ci trova smarriti, dopo esserci persi per chissà quali sentieri.

“Buone queste linguine con la pescatrice, Aldo non si smentisce mai!”, è il commento di rito che interrompe il flusso dei miei pensieri. Non vedo l’ora che arrivi domani, quando ripercorrerò a ritroso l’autostrada e ritornerò in campagna. Il verde mi avvolgerà, accogliendomi senza pretendere nulla in cambio, entrerà nelle mie fibre e lo respirerò a fondo. Varcherò il cancello, troverò un biglietto di Sandro avvolto in una foglia: “Questa sera alle otto sotto la magnolia sarò felice di ritrovare il tuo respiro, il tuo profumo, la tua preziosa compagnia”.

Torniamo a casa piacevolmente storditi dal vino, è tardi quando mi addormento dopo aver fatto di nuovo l’amore con Luca. Ha bisogno di me, ha ancora bisogno di me, in un modo diverso rispetto al passato, più deterministico forse. Del resto, come dice il suo urologo: “ Una regolare attività sessuale, dottore, fa bene alla prostata!”.

Sono le sette quando mi svegliano le vibrazioni del suo telefono, mentre lui dorme il sonno dei giusti. In altri tempi la gelosia mi avrebbe avvelenato il cuore, ora solo una curiosità divertita e scontrosa mi spinge a violare la sua privacy.

“Ciao Luca, la signora in verde è già partita per il suo buen retiro?”, chiede una certa S. Per la prima volta non mi limito a leggere, ma rispondo pregustando le conseguenze: “Partirò fra tre ore, subito dopo la colazione, poi il maritino, pienamente decompresso, sarà a tua completa disposizione!”

Mi avvio di buon umore verso la cucina e preparo una sontuosa prima colazione.

“Cara, ti sei superata, sai bene che adoro la prima colazione, è l’entreè di una buona giornata! La domenica, però, sarà lunga senza di te, nel pomeriggio poi dovrò lavorare per preparare lo staff meeting di domani!”

Io, invece, nel pomeriggio lavorerò nell’orto, mentre Sandro fischietterà nel suo e stasera ci godremo la pace silvestre, sorseggiando un buon vino. Forse questa volta potremmo non fermarci solo a questo, fra di noi c’è una tensione emotiva che può condensarsi in un’intesa. Chissà come Luca prenderebbe una cosa del genere, non so se accetterebbe una tale violazione dell’equilibrio che si è costruito e di cui sono un utile e docile ingranaggio.

Lo saluto con un bacio affettuoso, ma sbrigativo, ho voglia di scappare.

Salgo in macchina, raccolgo i capelli in uno chignon, inforco gli occhiali da sole vintage acquistati sulla bancarella del paese, poi digito: “ Alle otto sotto la magnolia!”

La voce di Albano, che alla radio modula “Nel sole”, m’infiamma. Finalmente ritornerò in campagna, nel verde, nel sole.

Da sola? Forse, ora, solo il verde potrebbe non bastarmi più! Forse mi sta già offrendo una nuova prospettiva di vita, di amore, di senso.

 

 

 

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