Under 14 – Iyasu: un viaggio nel passato

Iyasu: un viaggio nel passato

di Eva Sganga

Tutor: Gerardina Sera – Scuola: I.C. Largo San Pio V di Roma

 

Sono circa dieci giorni che siamo in viaggio…mi sono appena svegliato, sono ancora in stato confusionale e non riesco a distinguere il brusio delle voci con il rumore assordante del camioncino; sinceramente preferivo la vecchia vettura, perchè, anche se aveva i vetri rotti e di notte nel deserto faceva un gran freddo, si riusciva a dormire senza il costante rumore del motore rotto. Per le strade strette e ancora deserte di questo paesino fantasma riesco a sentire la voce della mia mamma che parla con un signore che avevo già visto di sfuggita nella mia comunità…

Ah, dimenticavo… mi chiamo Iyasu, ho sei anni e vengo dalla Repubblica Centrafricana; mio nonno è il saggio del nostro piccolo villaggio… A proposito di mio nonno, è stato lui a regalarmi per il mio sesto compleanno il libro delle avventure di Ulisse, che per me ha un significato molto profondo perchè ogni sera mi addormentavo con la sua voce che narrava le imprese eroiche di Odisseo.

Mi manca tanto, era il mio punto di riferimento e da quando siamo scappati non riesco ad abituarmi all’idea che non sia qui con me.

Tutto ebbe inizio quel terribile giorno… me lo ricordo ancora, stavo giocando con i miei amichetti nella capanna, che si trovava dietro le nostre case, quando vidi per l’ennesima volta quei cinque uomini dell’esercito; ultimamente venivano a trovarci spesso e ogni volta intimorivano mio nonno, chiedendogli di cedergli le nostre terre. La notte stessa fui svegliato dalla mia mamma e costretto a partire per un lungo viaggio. Per non farmi preoccupare mi convinse del fatto che tutto quello che stava accadendo era solo un gioco…

È da qui che è iniziato tutto… la regola principale consiste nel non farsi catturare dai cattivi.

Le altre regole sono: non farsi notare, non parlare troppo, non chiedere, sconfiggere la paura e mantenere la calma qualunque cosa accada, stare lontani da tutte le persone armate, non perdere mai la speranza e diventare saggiamente egoisti; sinceramente l’ultima non l’ho ben capita, ma, visto che la terza regola consiste nel non chiedere, ho deciso di tenere per me questo dubbio.

Nel frattempo si sono fatte le 9:00 del mattino, abbiamo impiegato circa tre ore per arrivare in questo posto a me sconosciuto; di fronte a noi ci sono delle strutture di legno, che galleggiano su una distesa infinita di acqua. Chissà chi ce ne avrà messa così tanta?! Io non ho mai visto una cosa del genere e non mi sembra tanto invitante, si muove troppo, ma, visto che non posso avere paura, devo essere forte.

Mamma non è tanto tranquilla e dalle espressioni neanche i nostri compagni; loro non sono coraggiosi come Ulisse, ma io, che ho letto le sue avventure, ho imparato ad essere come lui.

Un’altra ora è passata e durante l’attesa interminabile mia mamma mi dice che le regole del gioco non sono più le stesse: lo scopo, ora, è di arrivare a destinazione, quella che mia madre chiama “libertà”.

Dopo aver fatto un’interminabile fila, è arrivato il nostro turno, davanti a me ci sono due uomini alti, robusti e dallo sguardo freddo… chiedevano i soldi. – Soldi!? Ma non erano gettoni? –

Il nonno, prima di partire ci diede 500 monete, che ci avrebbero aiutato a vincere il gioco. A quanto pare, però, non bastavano, perchè la prima classe aveva un costo di 300 gettoni, la seconda di 200 e la terza di 100. Io e la mamma, quindi, non potevamo viaggiare insieme.

Dopo aver deciso di sacrificarsi, andando lei in seconda classe e facendo viaggiare me in quella più sicura, mi salutò con un bacio e mi abbracciò forte forte come non aveva mai fatto prima, raccomandandosi di vincere per entrambi; io le dissi di non preoccuparsi perché per lei avrei affrontato tutti i mostri del mare, come il valoroso Ulisse aveva fatto contro Scilla e Cariddi.

Salito fin su e, dopo aver indossato il salvagente, prendo posto accanto ad un anziano signore, dall’aspetto un po’ bruto, ma che dolcemente mi asciuga le lacrime.

Mi confidai con lui e gli feci molte domande: cos’è quell’enorme distesa d’acqua? E questa cosa galleggiante?

Lui mi rispose con tranquillità e mi spiegò tutto… quell’enorme distesa d’ acqua si chiamava mare e quella cosa galleggiante era la barca che ci avrebbe portato a destinazione; spero solo che il viaggio non duri 10 anni come quello del mio eroe e che una volta arrivato a terra possa riabbracciare la mia mamma, come Ulisse fece con la sua amata Penelope.

Il tempo sembrava non passare mai; da dove mi trovavo vedevo ancora la fila di persone che si spingeva per entrare nella barca per prendere gli ultimi posti rimasti.

– Eravamo già fin troppo stretti, come avremmo potuto entrarci tutti?- Improvvisamente riconobbi uno dei due signori che avevo visto sul ponte che collegava la terra ferma alla barca, si posizionò al timone senza scambiare parola con nessuno e accese il motore. Usciti dal porto, l’imbarcazione iniziò ad oscillare, il mare era molto agitato, sembrava che Poseidone si stesse vendicando su di noi, come aveva fatto con Ulisse dopo l’imbroglio a Polifemo.

Dopo circa tre ore di navigazione decisi di iniziare a leggere per distrarmi dalla paura e dalla fame; cominciai a sentire delle voci che a poco a poco diventarono sempre più armoniose, che coinvolgevano tutti noi. Il nostro canto si confondeva con il pianto dei bambini, in quel momento ci sentimmo tutti molto uniti e l’empatia che si creò ci spronò a superare la grande angoscia che ci turbava.

Ad un certo punto, però, le onde divennero sempre più alte, come se le “sirene” stessero attraendo la barca da una parte all’altra, io, però, che ero più forte e coraggioso degli altri non mi feci spaventare dal loro movimento impetuoso e inarrestabile.

In pochi secondi ci ritrovammo tutti in acqua, quel brutto mare ci aveva travolti e la barca si capovolse.

Sentii l’acqua gelida, le voci gridare e delle ombre che si muovevano sotto di me; avevo molta paura, cominciai a piangere e le mie lacrime si confusero con la salsedine. Iniziai a muovermi per cercare di rimanere a galla, senza mai abbandonare

il mio libro, mi attaccai ad un pezzo di legno e con lo sguardo cercavo disperatamente la mia mamma, gridando il suo nome. La vidi, ma non rispose… continuava ad allontanarsi e non riuscivo a raggiungerla. Che male avevamo fatto? Mi sentivo solo, perso, non sapevo a chi fare riferimento. A che gioco stavamo giocando? In lontananza vidi una barca rossa che si avvicinava e un uomo mi tese la mano. In pochi attimi, tutto infreddolito, mi ritrovai su un’altra imbarcazione diretta verso terra. Dov’era la mia mamma? Perché non era lì con me? Mi era ormai chiaro che il gioco era finito e pensavo solo a lei.

Toccammo finalmente terra, ero disperatamente solo e non sapevo dove mi trovavo. Delle persone mi perquisirono, continuarono a toccarmi in cerca di non so cosa e volevano impossessarsi del mio libro, continuai a piangere, e, in mezzo a tutto quel trambusto riconobbi una voce, calda e gentile che, anche se evidentemente un po’ scossa, mi aiutò! Era lui, il signore che mi era stato accanto per tutto quell’incubo.

– Lasciatelo stare! Non ha fatto niente di male, questo è tutto quello che gli rimane della sua vecchia vita e l’ultimo ricordo che gli è rimasto.

Queste parole me le ricordo ancora oggi come fosse ieri.

Da quell’orribile giorno sono passati ormai sessantacinque anni.

Ripensando a ciò che mi è accaduto mi rendo conto di essere stato un uomo fortunato; ho trascorso la mia adolescenza in una splendida famiglia a cui ancora oggi sono molto legato. Sono andato a scuola, mi sono laureato in filosofia e letteratura, mi sono sposato, ho avuto due splendidi figli e dei meravigliosi nipotini…

Ops! Ma che ore sono? Si è fatto tardi… E’ ora di dar loro la buonanotte e di leggergli, come ogni sera, il libro delle avventure di Ulisse che è diventato anche il loro eroe.

 

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