Under 14 – Un viaggio verso la speranza

Un viaggio verso la speranza

di Alexandra Mihaela Istrate

Tutor: Mirella Luzi – Scuola: I.C. De Curtis di Roma

 

..Desideriamo ed accumuliamo sempre più cose perché non ci bastano mai; oppure perché quella cosa ce l’hanno tutti e va di moda. Non ci rendiamo contro, però, che molti di quelli che vengono qui, sbarcano sulle nostre coste, superando la paura, la violenza, la fame, non hanno nemmeno un rifugio, un posto in cui vivere in pace, una casa da condividere con i propri cari, altro che il possesso di oggetti inutili di marca o alla moda.

Sono persone comuni che hanno avuto in sorte di nascere in un luogo inospitale e desolato, che da un giorno all’altro possono perdere tutto, compresa la propria famiglia. Si svegliano ogni giorno con la paura, l’angoscia, il terrore che quel giorno sia l’ultimo. Sono costrette così a partire ma per dove non si sa. Ci chiediamo il perché della loro partenza, perché partono se hanno pochissime probabilità di arrivare a destinazione, una destinazione spesso nemmeno scelta; arrivano dove arrivano, quando arrivano e va bene così. Difficile ambire a scegliere la propria metà quando si fugge.

Al momento della partenza non sanno ciò che li aspetta. Durante il viaggio corrono moltissimi rischi, proprio dal momento in cui mettono piede su un camion, dove non hanno nemmeno lo spazio per stendersi.

Provo una tremenda tristezza, o forse pena, non so come descrivere le emozioni che mi travolgono quando sento raccontare queste storie da persone che le hanno vissute sul serio e che nonostante ciò trovano la forza, non so dove, di ricominciare tutto da capo: con la lingua, il paese e gli amici.

Non avrei mai creduto se non me lo avessero raccontato; non avrei mai creduto che dormono e passano interi giorni ammassati in camion, in barconi, nei quali a fatica trovano lo spazio per respirare e, se non stanno attenti, in una curva o una salita impervia, o per una onda traditrice, possono anche scivolare, cadere, perdere la vita. Ma non finisce qui, infatti, anche quando pensano di aver raggiunto la terra promessa, trovato il loro luogo “ideale” in cui vivere finalmente in pace si accorgono che non è così e, spesso, sono costretti a ricominciare il viaggio da capo, perché fermati da poliziotti e sorpresi senza documenti e perciò rimandati nel luogo di partenza. Ma molti non si arrendono e il loro viaggio quindi ricomincia, sempre con le stesse paure e gli stessi rischi. Queste paure a volte possono diventare realtà trasformandosi in tragedie, come i tremendi naufragi dei gommoni trasportatori di profughi, dove centinaia di loro muoiono annegati. E nonostante ciò li critichiamo senza pietà: ci chiediamo perché sono venuti proprio nel nostro Paese, perché non se ne vanno oltre. Spesso stiamo alla larga da loro per il solo fatto che sono “estranei” e quindi automaticamente ci stanno antipatici. Alcuni forse sono anche contenti quando qualcuno non ce la fa e finisce la sua avventura in fondo al mare: altri sono totalmente impassibili e indifferenti, rassicurati dal proprio benessere.

Forse a volte succede anche a me, succede che ciò che accade non mi preoccupa perché penso che non mi riguardi…invece, se analizzo bene le storie di questi uomimi e donne, è possibile che mi riguardi profondamente perché, in fondo, anche io sono venuta qui per trovare condizioni migliori, anche se non correvo gli stessi pericoli e anche se nel mio Paese non rischiavo e non rischierei la vita. Però volevo un futuro migliore, una tranquillità economica, la possibilità di studiare e la strada della vita da percorrere in discesa. Difficilmente ci mettiamo nei panni altrui, soprattutto di quelli che soffrono, dei quali, per egoismo o vigliaccheria, non vorremmo sapere niente. Ci sono persone generose che, al contrario, vogliono condividere i migranti almeno una parte del percorso che li porterà a raggiungere la metà della vita, e si danno da fare per aiutare, per non lasciarli sperduti e impauriti in un luogo estraneo che non sa accoglierli. Il loro “viaggio” non finisce infatti quando arrivano nel Paese agognato, corrono ulteriori rischi, possono essere respinti da leggi o da muri impenetrabili.

Grazie allora a tutte quelle associazioni e a tutti quei volontari che si prodigano per aiutarli e il lavoro che fanno non è poco. I migranti infatti devono chiedere per prima cosa asilo, sperando ovviamente di ottenerlo, perché non è facile. Ognuno deve raccontare la propria storia di fronte a dei giudici i quali valutano la situazione e in base a quella decidono se concederglielo o meno. Spesso questo non avviene, ci sono leggi che vanno rispettate e molti vengono respinti, rimandati nell’inferno di fame e povertà da cui provengono. La domanda che mi pongo è allora é questa: – Ma come si fa a non mettersi nei loro panni? – Perché li rimandano indietro sapendo il viaggio che hanno intrapreso; sapendo quanti rischi hanno corso; sapendo le violenze che hanno subito prima e durante il lungo viaggio verso la libertà; sapendo che, anche se nel loro Paese non rischiano la vita perchè la guerra e le persecuzioni non arrivano, possono morire letteralmente di fame o di sete?

Perché alla fine c’è sempre un grave, inimmaginabile motivo per il quale migliaia di uomini, di donne e di bambini partono lasciando tutto: la famiglia, gli amici e le persone a loro care, il luogo natio, la propria infanzia, i propri ricordi per intraprendere un viaggio verso l’incognito….

Pochi però ci pensano. Comincia a pensarci tu, perché anche uno fa la differenza.

 

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